Esisterebbe, vi là vi là, un pozzo profondissimo; e nel pozzo sarebbe, da millenni, chiuso un delfino.

Ogni tanto al delfino viene nostalgia del mare; e allora il delfino si sbalestra contro il muro della sua prigione, e si lamenta: lo squassar dell’acqua e il lamento chiamano cento echi, e via li scatenano giù dai dirupi, lontano dalla pianura, a salutare le libere agognate strade dell’onda marina.

De Nardis, 1924

Manuela Bianchi è nata a Cesenatico nel 1961. Frequenta, in Ravenna, il Liceo Artistico, l’Istituto Albe Steiner, l’Accademia di Belle Arti; i suoi maestri si chiamano Santo Spartà, Marco Santi, Severo Bignami, Isotta Fiorentini Roncuzzi e Roberto Chiarelli.

Verità conturbanti per lei, convinta di vivere ancora nella Costantinopoli del VI secolo d.C., dove Teodora del postribolo, la snella fanciulla che sul palco si dilettava con le oche ammaestrate, è ora divenuta Basilissa.

Nel quadro successivo, i cubetti che Manuela sta dipingendo di rosso chiaro serviranno per le calzature della Vergine nell’abside della basilica di Hagia Sophia; il procedimento è raro, la mano, guidata da diligente disciplina, sicura.

Se il Tempo è continuo divenire, memoria in formazione, Chronos, a questo fluire dell’essere – da sempre – Manuela affida la sua ricerca artistica.

A quell’essere che significa sapere che “si è stati”, mentre la vita diviene futuro nutrito da polpose radici, raggi di sole oro e argento, cieli di porpora e ocra, volontà, ardimento ed intenzioni ma soprattutto echi, cento echi che, a seguirli, condurranno al mare ed alle grida di gioia del delfino, divenuto finalmente libero.